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1224-2024 VIII Centenario delle stimmate di San Francesco


 

Oggi 17 settembre 2024 ricorre l’Ottavo Centenario delle Stimmate di San Francesco. Le antiche biografie raccontano che Francesco d’Assisi nell’estate del 1224 in un momento di crisi umana e spirituale si ritirò sul Monte della Verna nel casentino. L’esperienza delle Stimmate, esperienza di dolore e amore, è diventata per Francesco dono da custodire con responsabilità e umiltà, ma anche l’inizio di un “canto di lode” compiuto nella sua vita e raccontato nei celebri componimenti letterari delle Lodi di Dio Altissimo e Cantico delle Creature.

Il messaggio che scaturisce dall’esperienza della Verna è parola di guarigione e speranza per tutti gli uomini che può essere nuovamente consegnata a un mondo segnato da tensioni, divisioni e guerre ma anche da desiderio di vita e futuro.

Riportiamo il racconto di Tommaso da Celano per immergerci in questo grande mistero di amore che ha trasformato la vita di Francesco. 


Allorché dimorava nel romitorio che dal nome del luogo è chiamato "Verna ", due anni prima della sua morte, ebbe da Dio una visione. Gli apparve un uomo, in forma di Serafino, con le ali, librato sopra di lui, con le mani distese ed i piedi uniti, confitto ad una croce. Due ali si prolungavano sopra il capo, due si dispiegavano per volare e due coprivano tutto il corpo. A quell'apparizione il beato servo dell'Altissimo si sentì ripieno di una ammirazione infinita, ma non riusciva a capirne il significato. Era invaso anche da viva gioia e sovrabbondante allegrezza per lo sguardo bellissimo e dolce col quale il Serafino lo guardava, di una bellezza inimmaginabile; ma era contemporaneamente atterrito nel vederlo confitto in croce nell'acerbo dolore della passione. Si alzò, per così dire, triste e lieto, poiché gaudio e amarezza si alternavano nel suo spirito. Cercava con ardore di scoprire il senso della visione, e per questo il suo spirito era tutto agitato. Mentre era in questo stato di preoccupazione e di totale incertezza, ecco: nelle sue mani e nei piedi cominciarono a comparire gli stessi segni dei chiodi che aveva appena visto in quel misterioso uomo crocifisso.

Le sue mani e i piedi apparvero trafitti nel centro da chiodi, le cui teste erano visibili nel palmo delle mani e sul dorso dei piedi, mentre le punte sporgevano dalla parte opposta. Quei segni poi erano rotondi dalla parte interna delle mani, e allungati nell'esterna, e formavano quasi una escrescenza carnosa, come fosse punta di chiodi ripiegata e ribattuta. Così pure nei piedi erano impressi i segni dei chiodi sporgenti sul resto della carne. Anche il lato destro era trafitto come da un colpo di lancia, con ampia cicatrice, e spesso sanguinava, bagnando di quel sacro sangue la tonaca e le mutande. 

Ben pochi ebbero la fortuna di vedere la sacra ferita del costato del servo del Signore stimmatizzato mentre egli era in vita. Ma fortunato frate Elia che, ancor vivente il Santo, meritò di scorgerla almeno, e non meno fortunato frate Rufino che la poté toccare con le proprie mani. Mentre una volta gli praticava una frizione sul petto, la mano gli scivolò, come spesso capita, sul lato destro e così toccò quella preziosa cicatrice. Francesco ne sentì grande dolore e allontanò la mano, gridando che Dio lo perdonasse. Infatti con ogni cura teneva nascosto il prodigio agli estranei, ma anche agli amici e ai confratelli, tanto che non ne seppero nulla per lungo tempo perfino i suoi seguaci più intimi e devoti. Questo fedelissimo discepolo del Signore, pur vedendosi ornato con tali meravigliosi segni, quasi perle preziosissime del Cielo e coperto di gloria e onore più d'ogni altro uomo, non se ne gonfiò mai in cuor suo, né mai cercò di vantarsene con alcuno per desiderio di gloria vana, al contrario, temendo sempre che la stima degli uomini gli potesse rubare la grazia divina, si industriava il più possibile di tenerla celata agli occhi di tutti. (FF 484-486)